Onorevoli Colleghi! - Recenti episodi hanno diffuso nell'opinione pubblica un allarme sempre più vivo per reati contro il patrimonio, consistenti per lo più in furti in abitazioni e in furti con destrezza tipo borseggio, commessi da minori non imputabili, cioè minori degli anni quattordici (articolo 97 del codice penale). Il problema si è acuito, come è noto, con l'allargamento dell'Unione europea a Paesi nei quali è particolarmente diffusa la presenza di popolazioni tradizionalmente nomadi. Una reale soluzione del problema non può prescindere da adeguati e complessi accordi internazionali, in particolare per quanto concerne la tutela dei minori, la loro educazione, la loro crescita intellettuale e morale ed il loro inserimento nella società; tuttavia, seppure come approccio parziale, appare utile il perfezionamento del sistema sanzionatorio penale e civile a carico degli adulti che approfittano dei minori non imputabili

 

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per porre in essere in concorso con loro reati contro il patrimonio o che, comunque, pongono in essere le condizioni per cui lo sbocco naturale di questi minori non sono attività educative o ludiche proprie della loro età, ma la perpetrazione di reati forse nemmeno percepiti come tali. Il codice penale prevede già una norma, l'articolo 111, modificata e successivamente integrata dall'articolo 11 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e dall'articolo 7 del decreto-legge 31 dicembre 1991, n. 419, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 1992, n. 172, per la quale chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile ovvero non punibile risponde del reato da questa commesso, con previsione di aumento di pena se chi ha determinato a commettere il reato ne è il genitore esercente la patria potestà. La norma si è rivelata, tuttavia, di difficile applicazione sia per la difficoltà di dimostrare che il minore non imputabile è stato indotto da altri a commettere il reato sia per la difficoltà, per quanto concerne l'aggravamento di pena, di dimostrare l'esistenza e la qualità dei rapporti di filiazione per carenza di idonei e non falsificati documenti dei soggetti interessati. Necessita quindi ritrovare nell'ordinamento giuridico princìpi che possano, senza contraddire la coerenza e la logicità intrinseche che il sistema ordinamentale deve possedere, essere applicati ed estesi al problema del quale la presente proposta di legge intende contribuire alla soluzione.
      Il principio si ritrova nell'articolo 2048 del codice civile, della cui legittimità nessuno ha dubitato, per il quale il padre e la madre o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori o dalle persone soggette alla tutela, che abitano con essi; gli stessi sono liberati da responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto.
      Pressoché identico è l'articolo 2047 del medesimo codice civile, riferentesi al danno cagionato dall'incapace diverso dal minore.
      All'obiezione che trattasi di principio civilistico e non penalistico si può, a questo punto, osservare che, nonostante il principio della personalità della responsabilità penale di cui all'articolo 27 della Costituzione, nessuno ha mai dubitato della legittimità delle norme sulle «actiones liberae in causa», cioè delle norme di cui agli articoli 92 e 93 del codice penale, per non parlare della norma di cui all'articolo 87 dello stesso codice.
      Le stesse sono espressione del principio per il quale chi - anche solo colposamente - si mette nelle condizioni di commettere un reato, diminuendo colposamente la propria capacità di intendere e di volere, ne risponde comunque e anzi, se l'ubriachezza o l'assunzione di sostanze stupefacenti era preordinata a commettere un reato, ne consegue un aggravamento di pena. La previsione che colui che non impartisce al minore un'adeguata educazione e, in particolare, non provvede all'adempimento dell'obbligo scolastico, risponda dei reati da questi commessi costituisce esplicazione di questo principio.
      Orbene, questi princìpi possono essere estesi alla fattispecie di cui si propone la disciplina mediante:

          a) la previsione dell'imputabilità ai genitori dei reati commessi dai minori non imputabili, salvo la prova liberatoria da dare da parte dei genitori dell'aver impartito agli stessi un'adeguata educazione e del regolare assolvimento da parte dei minori dell'obbligo scolastico;

          b) la previsione dell'equiparazione ai genitori non solo del tutore, ma anche dei soggetti che di fatto esercitano sul minore un potere e un controllo analoghi a quelli derivanti dall'esercizio della potestà parentale (ad esempio quello del capo o dei capi delle tribù nomadi);

          c) l'estensione a questi soggetti anche della responsabilità civile, eliminandosi per tutti il requisito della convivenza.

      Nell'ambito penalistico si propone, inoltre, la conversione della contravvenzione di cui all'articolo 731 del codice penale attualmente punita con sanzione bagatellare d'inosservanza dell'obbligo di istruzione elementare dei minori in delitto contro l'assistenza familiare, adeguatamente

 

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punito, da numerare quale articolo 574-bis del medesimo codice.
      Si tratta di una revisione di norme, inserita nel sistema, non certo risolutiva dell'ampia e complessa problematica, ma che mira a dare un contributo significativo alla riduzione della criminalità minorile perpetrata attraverso l'utilizzazione e lo sfruttamento dei minori e, conseguentemente, mira a porre in essere alcune condizioni migliorative delle condizioni di vita degli stessi.
 

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